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Padre


Da giovane si era tagliato i capelli a zero, per poi non farseli ricrescere più. Quanto tempo era passato. Oggi, nell’officina,  prendeva la cintura nera dai grossi buchi doppi e bordati di metallo e se la sfilava, né troppo lentamente, né davvero veloce. Guardava fuori le mille immagini che passavano per la strada di campagna e intanto tastava il cuoio della cinghia, morbida pelle nera, e se la poneva da dietro le spalle intorno al collo; il gancio sarebbe giusto passato sotto la cintura tra la sua pelle e il cuoio. Prese poi la pesante catena che dal soffitto reggeva il gancio, la tirò a sé e la fece passare a fatica tra il cuoio e il collo sentendo che il cuoio teneva: il grande gancio teneva ora la cinghia dall’alto e vi era bloccato al bordo inferiore e uscendone rivolto all’esterno sporgeva all’altezza del coppino. Fece come per slacciare la cinghia, d’istinto, poi si fermò. Il gancio teneva. Era in piedi sotto il carro ponte, la catena era lunga e gli permetteva di realizzare l’opera sua: si spostò di un passo e mezzo. Lo spostamento lo fece sentire in possesso delle sue facoltà, libero d’agire, libero di scegliere. Schiacciò il bottone rosso dalla tastiera che comandava la catena e il suo corpo fu portato, come in un guizzo, in alto: appeso per il collo, le gambe a penzoloni, mentre lui involontariamente scalciava nel rantolo incontrollabile dell’agonia che precede la morte. I pensieri passavano, i secondi passavano, la vita passava. E perse conoscenza in un inizio di preghiera che sperò invano di poter terminare.

La faccia era sporca e piena di fuliggine metallica, le grosse mani stringevano la tastiera della carrucola che aveva poco prima sollevato quel corpo, gli occhi erano sbarrati e fissi, ma finalmente poterono scorgere un fremito nel volto. Le ciglia sbatterono umide nel vederlo. Il grande uomo di cento chili e oltre si ergeva ora come una statua, simile a una fusione bronzea nel centro dell’officina meccanica: teneva in braccio un corpo che grazie al Dio nel quale non aveva mai creduto respirava ancora. Lo tenne così, tra le braccia, forse troppo a lungo mentre il suo stesso corpo pronunciava un grazie, esprimeva la sua granitica speranza. Si mosse poi piano e traballante con la trascurabile incertezza di chi sa sempre cosa fare e rianimò quel giovane uomo che per lui era ancora un ragazzo. Il respiro riprendeva e gli occhi incontrarono così i suoi occhi, mentre nasceva il padre che prima non c’era stato.

Brigatisti, ma pur sempre buonisti


Nei giorni scorsi, come è noto, una lettera di minacce al presidente del nutella400_25Consiglio Silvio Berlusconi, al presidente della Camera Gianfranco Fini e al leader della Lega Umberto Bossi, è stata recapitata a opera di un gruppo eversivo presso la redazione del quotidiano Il Riformista. La missiva era corredata da un ultimatum: entro le 23.59 del 16 ottobre i tre rassegnino le dimissioni. Insomma “lasciate la politica e Berlusconi si consegni alla giustizia comune perchè in quella comunista la sentenza sara’ inevitabile”. La lettera, spedita da Milano l’8 ottobre, giorno seguente la decisione della Corte costituzionale sul lodo Alfano, enfatizza il fatto che Berlusconi non abbia voluto dimettersi nonostante la sentenza. Colpisce che in una lettera firmata da brigatisti si ritrovi un commento che esprime coincidenza di visione con quanto detto da esponenti di partiti di opposizione e comunque, anche quando non detto, implicitamente suggerito o atteso dalla sinistra. La novità  però sta a mio parere nel fatto che i mittenti, che pure si sentono pronti a una vera e propria rivoluzione armata che coinvolga il popolo come a Cuba, rassicurano sul fatto che non intendono ricorrere “a bombe o coinvolgere innocenti” . Si tratta insomma non delle Brigate Rosse ma delle Brigate Buone.

Perchè?


the-road2Quasi un anno senza il mio omonimo dominio online ma finalmente eccolo.  Questo è stato l’anno di Facebook per me: grazie al buon vecchio Gianluca Nicoletti sono infatti andato a impattare contro questo muro relazionale. Una prova: vediamo come funziona. Visto, sbattuto anche un po’ contro. Perché? Poi è arivato di tutto e specialmente questo ciclone che ancora chiamiamo crisi e invece verrà il giorno che ci volteremo indietro e diremo: e l’avevamo scambiata per una semplice crisi. Perché? Verrà la fame. Perché? Leggetevi, leggiamoci ancora, The Road e cercatevi un marito, o una moglie, o un parente, un amico specialmente, in campagna. Oppure inventiamoci insieme qualcosa di nuovo.