Siamo prossimi alla Pasqua. E siamo, perciò, badate bene prossimi all’umanità: ne possiamo condividere i sentimenti e il patire senza esser perciò disperati. Se c’è spesso, o talvolta, una mano a noi prossima, pronta a prenderci e tirarci su e poi tenerci saldi almeno per un po’, dobbiamo o almeno possiamo riconoscere che questa mano è mano che non scompare, che non si ritrae neppure per timore, che non si volatilizza come spesso temiamo. E’ così grazie alla scritta della foto. E’ perciò che è potuta essere una mano di cui serbiamo ricordi anche umani, mano di uomini e donne, genitori e amici: che c’è stata ed è poi tornata, non solo alla memoria ma anche al nostro fianco. Chiusa a coppa, per abbeverarci a un’acqua cui non saremmo stati capaci d’arrivare a bere; che si porgeva, pelle ancora fresca ma già un po’ ruvida per l’età, alla nostra piccola mano e ci portava a guardare più in alto. Che ci stringeva e ci stringe. Mano capace di abbattersi, anche, per farci riavere… . Di tutto questo c’é di che esser grati. Ma c’è purtroppo un timore che ci ammazza, che ci schianta le gambe anzichè farci correre con le “molle d’acciaio”; si tratta insomma di quella nostra umana quasi condanna che ci par di percepire: quasi condannati a non credere per non voler vedere, sembriamo non osare sperare, sembriamo incapaci di alzare la testa, dalla terra, dal tornio o dal foglio di carta, patinata o elettronica o uso mano. Ecco perché propongo, con questa foto, solo poche parole: ricordo dall’Università Cattolica 1983, esperienza presente, augurio per ciascuno.
Siamo prossimi
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